Le stime preliminari dell’Istat rilasciate lo scorso marzo, e riferite all’anno 2023, attestano che il 9,8% della popolazione, un residente su dieci, vive in uno stato di povertà assoluta. Complessivamente risultano in uno stato di povertà assoluta 5 milioni 752mila residenti, per un totale di oltre 2 milioni 234mila famiglie. Si tratta di individui e nuclei che, secondo la definizione Istat, non hanno il minimo necessario per vivere dignitosamente perché impossibilitati ad accedere a un paniere di beni e servizi essenziali (cibo, vestiario, abitazione, spese sanitarie). A loro si aggiungono poi le storie di chi vive in una condizione di rischio di povertà
e/o esclusione sociale: si tratta complessivamente di circa 13milioni 391mila persone, pari al 22,8% della popolazione; dato che risulta in riduzione rispetto al 2022 quando si attestava al 24,4%. Il Mezzogiorno risulta l’area del Paese con la più alta incidenza delle persone a rischio povertà e/o esclusione sociale (39%) in linea con i dati della povertà assoluta. E’ quanto emerso dal nuovo rapporto della Caritas.
Nel 2023, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati (complessivamente 3.124 dislocati in 206 diocesi di tutte le regioni italiane) le persone incontrate e supportate sono state 269.689. Quasi 270mila “volti” che possono essere assimilati ad altrettanti nuclei, visto che la presa in carico risponde sempre ad esigenze di tipo familiare. Complessivamente si tratta di circa il 12% delle famiglie in stato di povertà assoluta.
Rispetto al 2022 si è registrato un incremento del 5,4% del numero di assistiti.
Il confronto o del numero di assistiti 2019-2023 è invece impietoso: + 40,7%.
Aumentano le povertà intermittenti e croniche.
Chiedono aiuto donne (51,5%) e uomini (48,5%). L’età media che si attesta a 47,2 anni (era 46 nel 2022).
Le persone con domicilio rappresentano l’80,8%. Alta come di consueto l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori. In alcune regioni l’incidenza dei genitori risulta ancor più elevata, ad esempio nel Lazio (91%), in Calabria (82,2%), Umbria (81,4%), Puglia (80,6%), Basilicata (79%)
e Sardegna (75,3%).
Le famiglie con minori rappresentano il 55,9% del totale; in valore assoluto si tratta
complessivamente di 150.861 nuclei, a cui corrispondono altrettanti o più bambini e ragazzi in stato di grave e severa povertà. Questo preoccupa e sollecita. Nascere e crescere in una famiglia povera può essere infatti il preludio di un futuro e di una vita connotata nella sua interezza da stati di deprivazione e povertà, anche in virtù del nesso che esiste tra povertà economica e povertà educativa.
Tra gli assistiti dalla Caritas ci sono persone soprattutto con la licenza media inferiore che pesano per il 44,3%.
Un altro fattore comune è la fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%).
Tra i lavoratori poveri si contano per lo più: persone di cittadinanza straniera (65%); uomini (51,6%) e donne (48,4%); genitori (78%) e coniugati (52,1%); impiegati in professioni non qualificate; domiciliati presso case in affitto (76,6%).
A pagare cara la povertà sono i bambini nella fascia 0-3 a registrare l’incidenza più alta di povertà assoluta pari al 14,7%. Praticamente oggi, più di un bambino su sette, nell’età 0-3 anni, è povero in termini assoluti, e con loro ovviamente i loro genitori. Nascere e crescere in una famiglia povera può essere il preludio di un futuro e di una vita connotata nella sua interezza da stati di deprivazione e povertà.
Le principali difficoltà delle famiglie con bambini riguardano : l’acquisto di prodotti di uso quotidiano, come pannolini (tale difficoltà è percepita dal 58,5% degli assistiti), abiti per bambini (52,3%) o alimenti per neonati come il latte in polvere (40,8%), le
visite specialistiche pediatriche private (40,3%), l’acquisto di medicinali o ausili medici per neonati, specie se
in presenza di disabilità o disturbi del linguaggio (38,3%). Oltre all’acquisto di giocattoli per i propri figli (37,2%), al pagamento delle rette per gli asili nido o degli spazi baby (38,6% dei nuclei) e anche, in casi di necessità, il compenso di eventuali servizi di baby-sitting (32,4%).
Tra le rinunce c’è anche la questione della salute: il 35,4% delle mamme dichiara di dover rinunciare a prendersi cura della propria salute. Quasi una famiglia su sette (15,2%) non accede al pediatra di libera scelta: un dato che ricorda la scarsità dei pediatri nel nostro Paese e la necessità di garantire l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale a tutti i minori, come previsto dalla legge.