I rifugiati e i migranti continuano a subire forme estreme di violenza, violazioni dei diritti umani e sfruttamento non solo in mare, ma anche sulle rotte terrestri attraverso il continente africano, verso la costa mediterranea. E’ quanto emerso dal nuovo rapporto pubblicato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e il Mixed Migration Centre (MMC), intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori”
I percorsi che queste persone praticano non sono sempre gli stessi. Alcuni concludono il loro viaggio in Africa mentre altri proseguono verso l’Europa. Molti rifugiati scappano da conflitti e persecuzioni nel loro paese di origine. Altri sono costretti a spostarsi per gli effetti devastanti del cambiamento climatico, in cerca di opportunità di lavoro e studio o semplicemente di una vita migliore.
L’anno scorso è scoppiato un nuovo conflitto in Sudan che ha costretto circa 10 milioni di persone a spostarsi. Mentre nell’Africa orientale e nel Corno d’Africa, la crisi climatica sta contribuendo a nuove e prolungate emergenze.
Il rapporto rileva inoltre che in alcune parti del continente, rifugiati e migranti attraversano sempre più aree in cui operano gruppi di insorti, milizie e altri attori criminali, e dove la tratta di esseri umani, i rapimenti a scopo di estorsione, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale sono all’ordine del giorno. Alcune rotte del contrabbando si stanno ora spostando verso aree più remote per evitare zone di conflitto attive o controlli di frontiera da parte di attori statali e non statali, esponendo le persone in movimento a rischi ancora maggiori.
Tra la serie di rischi e abusi denunciati da rifugiati e migranti figurano torture, violenze fisiche, detenzioni arbitrarie, morti, rapimenti a scopo di estorsione, violenza e sfruttamento sessuale, schiavitù, tratta di esseri umani, lavori forzati, espianto di organi, rapine, detenzioni arbitrarie, espulsioni collettive e respingimenti.
Si ritiene che i principali autori di questi abusi siano bande criminali e gruppi armati, oltre alle forze di sicurezza, alla polizia, all’esercito, agli ufficiali dell’immigrazione e alle guardie di frontiera.
Il rapporto
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e il Mixed Migration Centre (MMC) hanno mappato le rotte per comprendere meglio dove i rischi sono più acuti e chi sono gli autori degli abusi. Questo ha comportato l’utilizzo delle interviste dell’MMC con oltre 31.000 rifugiati e migranti tra il 2020 e il 2023, nonché dei dati del Missing Migrants Project dell’OIM e del monitoraggio della protezione dell’UNHCR, nonché di altre fonti.
Tra le rotte più pericolose c’è il deserto del Sahara, che è riconosciuto dagli intervistati come un segmento particolarmente pericoloso del viaggio, sia a causa dell’ambiente estremo che della violenza per mano di bande criminali, contrabbandieri, trafficanti, gruppi armati e militari. Tra gennaio 2020 e maggio 2024, i decessi documentati di persone che hanno tentato di attraversare il Sahara sono stati 1.206, ma si ritiene che il numero effettivo sia molto più alto. Tra quelli registrati, il 24% è stato causato da esposizione, disidratazione e fame legate alle dure condizioni ambientali, il 38 percento da incidenti stradali, il 6 percento da malattia e mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, il 3 percento da morte accidentale, il 13 percento da violenza e il 16 percento da cause miste o sconosciute.
La rotta pericolosa dell’Africa Orientale e del Corno d’Africa è Khartoum e dintorni. Sono segnalate come rischiose anche le città di confine tra Eritrea, Etiopia e Sudan. In questi luoghi, in particolare nelle zone di confine, i trafficanti sono gli autori di abusi e violazioni dei diritti umani.
Con la rotta dell’Africa Settentrionale si attraversa il deserto e i paesi del Maghreb, dove le persone raggiungono la loro destinazione o proseguono verso l’Unione Europea attraversando il Mar Mediterraneo, principalmente verso l’Italia.
Dopo la partenza dalle coste del Nord Africa, molti rifugiati e migranti vengono salvati e intercettati dalle autorità nazionali come le guardie costiere o le marine e riportati in Libia o Tunisia. Coloro che attraversano con successo il Mar Mediterraneo in modo autonomo tendono ad arrivare su piccole imbarcazioni sull’isola italiana di Lampedusa, mentre altri salvati da imbarcazioni private più grandi vengono sbarcati in Sicilia o, seguendo le istruzioni delle autorità italiane, in luoghi lontani dalla zona di salvataggio.
Molti muoiono o scompaiono in mare. Secondo il Missing Migrants Project, 7.115 rifugiati e migranti sarebbero morti o scomparsi nel Mar Mediterraneo tra gennaio 2020 e maggio 2024.
Secondo le stime di UN Women, il 90% delle donne e delle ragazze che si spostano lungo questa rotta viene stuprato. Oltre a essere stuprate o aggredite sessualmente, le donne migranti e rifugiate sono costrette a pagare tangenti tramite i cosiddetti favori sessuali, anche per interi gruppi di migranti. Spesso le donne sono costrette a prostituirsi per coprire i costi del loro viaggio e ci sono resoconti di donne costrette a sposarsi e ad avere figli con i loro rapitori. Molte delle intervistate hanno riferito di aver assistito o subito stupri o aggressioni sessuali, oltre a essere state costrette a relazioni di sfruttamento in cambio dell’accesso a beni di prima necessità, tra cui alloggio, protezione e denaro. Secondo le intervistate, gli autori erano membri di bande criminali, gruppi armati e milizie, trafficanti e, in alcuni casi, funzionari militari e governativi.
Occorre una risposta congiunta
Nonostante gli impegni assunti dalla comunità internazionale per salvare vite umane e affrontare le vulnerabilità, in conformità con il diritto internazionale, le tre organizzazioni avvertono che l’attuale azione internazionale è inadeguata.
Per rispondere in modo più efficace e affidabile ai pericolosi viaggi intrapresi da rifugiati e migranti che percorrono le stesse rotte verso e attraverso il Mediterraneo centrale, è necessaria una risposta comune: un approccio più ampio e innovativo basato su un’azione mirata e coordinata da parte degli Stati, dell’UNHCR, dell’OIM, di altre organizzazioni delle Nazioni Unite, dei partner e delle parti interessate nei paesi di origine, asilo, transito e destinazione.
Una risposta congiunta efficace richiede un passaggio a un approccio incentrato sulle persone, che preclude un maggiore impegno politico e la volontà, anche attraverso finanziamenti ove è opportuno, di esplorare modalità innovative per gestire i rifugiati e i migranti che si spostano insieme lungo percorsi comuni.
Occorrono misure salvavita, come il salvataggio via terra e via mare, procedure di ammissione umane e rispettose della protezione alle frontiere, sbarchi sicuri e assistenza umanitaria per rifugiati e migranti per rispondere alle esigenze immediate. Queste azioni devono essere intraprese in collaborazione con le autorità locali e le organizzazioni della società civile. La collaborazione deve anche estendersi alla raccolta e alla fornitura di informazioni sugli individui e al loro indirizzamento a servizi di supporto appropriati, compresi quelli nelle situazioni più vulnerabili come i bambini o le vittime della tratta.
Devono essere create alternative valide ai viaggi pericolosi lungo le rotte identificate, con protezione internazionale e accesso ai servizi e alle opportunità economiche forniti il prima possibile, e con percorsi sicuri, ordinati e autorizzati creati per rifugiati e migranti per integrare il reinsediamento. Ai rifugiati e ai migranti deve essere fornita la documentazione per accedere a questi servizi.
Immagine di copertina: Un gruppo di migranti cammina insieme a Tagiura, Gibuti. Foto: IOM/Alexander Bee