Dopo 13 anni di guerra civile e oltre cinquant’anni di governo autocratico, domenica i ribelli siriani hanno preso la capitale Damasco, costringendo il presidente Bashar al-Assad a fuggire. Secondo quanto riferiscono i media russi, Mosca avrebbe concesso l’asilo al dittatore sanguinario e alla sua famiglia.
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La coalizione ribelle siriana ha affermato di essere al lavoro per completare il trasferimento del potere a un organo di governo transitorio dotato di poteri esecutivi.
Mohammad Ghazi al-Jalali, primo ministro sotto Assad, ha chiesto elezioni libere e ha affermato di essere stato in contatto con Golani per discutere del periodo di transizione.
La caduta di Assad ha indebolito Iran e Russia
La caduta di Bashar al-Assad ha rappresentato uno dei più grandi punti di svolta per il Medio Oriente da generazioni.
Ha spazzato via un bastione da cui l’Iran e la Russia esercitavano la loro influenza nel mondo arabo.
L’improvviso rovesciamento di Assad segna un duro colpo per l’influenza iraniana in Medio Oriente, avvenuta così rapidamente dopo l’uccisione di Nasrallah e i danni arrecati da Israele a Hezbollah.
Un’altra sconfitta è la Russia che ha due basi militari in Siria, lo scalo aereo di Khmeimim e il porto di Tartus, la cui perdita sarebbe un duro colpo per le sue ambizioni geopolitiche nel Mediterraneo e in Africa.
L’unico vincitore della caduta di Assad è la Turchia. Il presidente Erdogan ha finanziato armato le milizie islamiche e jihadiste e controlla anche l’esercito libero siriano. La Siria è passata quindi da un protettorato iraniano- russo con Assad a un protettorato turco.
Cosa succederà in Siria?
Con la fine di Assad e la permanenza delle forze di occupazione turche e americane nel nord e nell’est del paese, ci si interroga su cosa succederà in Siria.
Gli scenari potrebbero essere tre: il primo è il modello simile a quello libanese, ovvero con un fragile equilibrio tra le comunità religiose ed etniche e l’influenza di Usa, Turchia, Russia, Israele, che stabiliscono una spartizione informale del potere. Nonostante questo scenario sembri garantire un’apparente stabilità in realtà determinerebbe una paralisi cronica politica con palesi conseguenze sulla popolazione.
La seconda ipotesi è la transizione ordinata sotto l’egida dell’Onu che prevede il mantenimento delle istituzioni dello Stato – distinto dal regime – inclusi le forze armate regolari e l’amministrazione civile, e un processo politico supervisionato da attori internazionali.
Infine l’ipotesi peggiore, ma concreta è quella libica, caratterizzata dalla presenza delle forze straniere e gruppi estremisti, tutti impegnati in una competizione violenta per il controllo delle risorse e del potere. Mentre la popolazione continuerebbe a vivere nel caos e miseria.